Tom Hodgkinson. The Guardian, Gran Bretagna. Da Internazionale 733, 29 Febbraio 2008


FACEBOOK NON MI PIACE. IL SUO

Slogan è: “Un servizio sociale per rimanere in contatto con le per-sone intorno a tè”. Ma un attimo. Perché mai dovrebbe servirmi un computer per conoscere delle perso ne? Perché le mie relazioni sociali dovrebbero passare attraverso le invenzioni di un gruppo di nerd californiani? Cosa c’è che non va nei pub? E poi è proprio vero che Facebook mette in contatto la gente? Non è che in realtà ci scollega gli uni dagli altri? Che invece di fare cose divertenti come parlare, mangiare, ballare e bere con gli amici, pensiamo solo a mandarci messaggi sgrammaticati e foto buffe? Un mio amico ha passato un sabato sera in casa da solo: è stato tutto il tempo su Facebook. Che tristezza. Altro che metterci in contatto: Facebook ci isola. Inoltre fa leva su una specie di vanità e di autocompiacimento. Pubblicando una mia foto particolarmente bella con l’elenco dei miei prodotti preferiti, posso costruirmi un’immagine artificiale per avere in cambio sesso o semplicemente approvazione. “Mi piace Facebook”, mi ha detto un amico. “Una volta ho pure rimediato una scopata”. E un sito che incoraggia una competitività inquietante. Oggi sembra che nell’amicizia non conti la qualità, ma solo la quantità: più amici hai, meglio stai. Mi sento molto solo nella mia battaglia. Facebook ha 59 milioni di utenti. Cinquantanove milioni di coglioni che hanno fornito dati anagrafici e preferenze d’acquisto a un’azienda di cui non sanno niente. Ogni settimana si iscrivono al sito due milioni di persone: tra un anno Facebook avrà più di duecento milioni di utenti, se andrà avanti a questo ritmo. Ma il tasso di crescita è destinatoad accelerare.

Come PayPal

Tutto questo è già un motivo sufficiente per fuggire da Facebook. Ma ci sono molte altre ragioni per detestarlo. È un progetto che ha raccolto grossi finanziamenti da un gruppo di investitori della Silicon Valley portatori di un’ideologia che sperano di diffondere nel mondo. E Facebook è una manifestazione delle loro idee. Come il sistema per i pagamenti oniine PayPal, Facebook è un esperimento sociale, è l’espressione di un certo neoconservatorismo libertario. Ognuno è libero di essere chi vuole a patto che accetti il bombardamento pubblicitario delle grandi aziende. Anche se il progetto è nato da un’idea di Mark Zuckerberg, il vero volto di Facebook è quello di Peter Thiel, investitore e filosofo futurista della Silicon Valley. Nel consiglio d’amministrazione di Facebook siedono solo tré persone: Thiel, Zuckerberg e Jim Breyer. Thiel ha investito mezzo milione di dollari in Facebook nel giugno del 2004, dopo aver incontrato Zuckerberg, Chris Hughes e Dustin Moskowitz, tré studenti di Har- vard che avevano appena lanciato il sito. Si dice che Thiel oggi possieda una quota del 7 per cento, più di un miliardo di dollari in base all’attuale valutazione di Facebook (15 miliardi di dollari). Si discute molto su chi siano stati i fondatori. Zuckerberg è l’unico rimasto nel consiglio d’amministrazione, anche se Hughes e Moskowitz lavorano ancora per l’azienda. Nella Silicon Valley molti considerano Thiel un genio libertario. E il fondatore e amministratore delegato di PayPal, che eBayha comprato per 1,5 miliardi di dollari (a Thiel sono andati 55 milioni). Gestisce anche un hedge fund da tré miliardi di dollari, il Clarium Capital Management, e la società di venture capital Founders Fund. Di recente la rivista Bloomberg Markets lo ha definito “uno dei gestori di hedge fund di maggior successo”. Thiel ha fatto i soldi scommettendo sull’impennata dei prezzi del petrolio e sull’indebolimento del dollaro. Fortune ha ribattezzato lui e i suoi ricchi soci “thè PayPal mafia”. La rivista scrive anche che Thiel ha un maggiordomo in livrea e una McLaren in serie limitata del valore di 5OOmila dollari. Gioca bene a scacchi ed è molto competitivo. Si dice che quando perde, si arrabbia e manda all’aria la scacchiera. Ma non se ne vergogna: “Uno che sa perdere è solo un perdente”, ha detto. Ma Thiel non è soltanto un capitalista abile e avido. È anche un filosofo futurista e un neocon. Si è laureato in filosofia a Stanford e ha scritto a quattro mani Thè diversity myth, un libro che attacca l’ideologia liberai e multiculturale della sua ex università. La tesi di fondo è che la cosiddetta “società multiculturale” porta a una riduzione delle libertà individuali. Thiel è membro di Thevanguard.org, un gruppo neocon nato per contrastare Moveon.org, un’associazione progressista attiva sul web. II direttore di Thevanguard.org è Rod D. Martin, un capitalista-filosofo che Thiel ammira moltissimo. “Rod è una delle migliori menti del nostro paese”, ha scritto Thiel sul sito. “Propone idee nuove. Conosce l’America più di quanto molti manager conoscano le aziende che dirigono”. Ci si può fare un’idea più precisa della sua visione del mondo leggendo questo testo pubblicato sul sito: “Thevanguard.org è una comunità di americani convinti che i valori conservatori, il libero mercato e un governo con funzioni ridotte al minimo siano i mezzi migliori per dare speranza e offrire opportunità a tutti, soprattutto ai più poveri”. L’obiettivo è “cambiare l’America e il mondo”. Thevanguard.org descrive la sua linea politica come “reaganiana/thatcheriana”. Cosi recita il messaggio di Martin sul sito: “Daremo a Moveon.org, a Hillary Clinton e ai mezzi d’informazione di sinistra una lezione che neanche s’immaginano”. Le idee politiche di Thiel sono chiare. E la sua linea filosofica? Ho ascoltato il podcast di un suo discorso sul futuro. L’idea di fondo è questa: a partire dal seicento alcuni pensatori si sono progressivamente allontanati dall’idea tradizionale della vita come stato di natura – Thiel cita la famosa definizione hobbesiana della vita come “brutta, brutale e breve” – per approdare a una nuova concezione del mondo in cui l’uomo ha sottomesso la natura e in cui valgono solo i beni virtuali. Thiel spiega che PayPal è nato sulla base di questa motivazione: il valore non sta negli oggetti fisici, ma nei rapporti tra gli esseri umani. PayPal, quindi, è un modo di far circolare il denaro senza restrizioni. Bloomberg Markets la mette in questi termini: “Secondo Thiel, PayPal erasoio una questione di libertà. Avrebbe permesso alla gente di aggirare i controlli valutari e di far circolare il denaro nel mondo”.

Confini nazionali

Facebook è un altro esperimento ipercapitalista. Si possono fare soldi con l’amicizia? È possibile creare comunità svincolate dai confini nazionali (e vendergli la Coca-Cola)? Il sito non crea niente di originale. Non fa niente. Si limita a mediare rapporti già esistenti. La guida filosofica di Thiel è Rene Girard, della Stanford university, sostenitore di una teoria del comportamento umano chiamata “desiderio mimetico”. Secondo Girard, le persone sono essenzialmente come le pecore, si imitano l’una con l’altra senza riflettere. Questa teoria sembra trovare conferma nei mondi virtuali di Thiel: l’oggetto desiderato è irrilevante, l’unica cosa da sapere è che gli esseri umani tendono a muoversi in branco. Si spiegano così sia le bolle finanziarie sia l’enorme popolarità di Facebook. Nella filosofia di Thiel non si sente mai parlare di concetti legati al mondo reale, come l’arte, la bellezza, l’amore, il piacere e la verità. Internet affascina molto i neocon come lui perché promette un tipo particolare di libertà nei rapporti umani e negli affari: la libertà da ostacoli come le leggi e i confini nazionali. Il web apre le porte a un mondo basato sul libero commercio. Thiel vorrebbe che la vita durasse di più. Per questo ha donato 6,8 milioni di dollari aAubrey de Grey, un gerontologo di Cambridge che cerca il segreto dell’immortalità. Il suo obiettivo è la distruzione del mondo reale e la sua sostituzione con uno virtuale. Visto così, il successo di Facebook è un esperimento dichiarato di manipolazione sociale. Thiel è una delle stelle più brillanti del firmamento neocon, con un debole per le fantasie tecnoutopistiche più estreme. Non è uno che vorrei aiutare a diventare più ricco. Quelli che fanno girare l’America II terzo membro del consiglio d’amministrazione di Facebook è Jim Breyer. E socio di Accel Partners, una società di venture capital che nell’aprile del 2005 ha investito 12,7 milioni di dollari. Breyer siede anche nei consigli d’amministrazione di colossi come Wal-Mart e Marvei Entertainment ed è stato presidente della National venture capital association (Nvca), l’associazione che rappresenta le società di venture capital statunitensi. Insemina, è tra quelli che fanno girare l’America. Tra i più recenti finanziatori di Facebook c’è la Greylock Venture capital, che ha investito 27,5 milioni di dollari. Uno dei suoi soci è Howard Cox, anche lui ex presidente della Nvca. Cox è membro del consiglio d’amministrazione di In-Q-Tel, il ramo della Cia che, come spiega il sito web dell’organizzazione, “individua e sostie- ne le imprese tecnologiche che sviluppano soluzioni utili a tutta la comunità dell’intelligence statunitense”. Il Pentagono e la Cia amano la tecnologia perché facilita le loro attività di spionaggio. “Dobbiamo trovare nuovi metodi per affrontare nuovi nemici”, ha dichiarato nel 2003 l’allora segretario alla difesa Donald Rumsfeld. “Dobbiamo compiere il salto nell’era informatica, che rappresenta la base dei nostri sforzi di cambiamento”. Il primo presidente di In-Q-Tel è stato Gilman Louie, che aveva fatto parte del consiglio della Nvca insieme a Breyer. Un’altra figura  chiave di In-Q-Tel è Anita K. Jones, ex responsabile della ricerca e dell’ingegneria difensiva del Pentagono. Quando Jones ha lasciato il Pentagono, il senatore Chuck Robb ha detto di lei : “E riuscita a mettere insieme la comunità tecnologica e quella militare e a promuovere progetti che garantiranno la supremazia militare americana anche nel nuovo secolo”. Anche se non vi convince l’idea che Facebook sia un incrocio tra un’appen- dice del programma imperialista americano e un gigantesco strumento per la raccolta di informazioni, non si può negare che dal punto di vista imprenditoriale sia un colpo di genio. Alcuni nerd della rete sostengono che la valutazione di quindici miliardi di dollari sia eccessiva, ma secondo me è perfino bassa. La diffusione del sito è impressionante: il suo enorme potenziale ha spinto la Microsoft a comprarne una quota dell’1,6 per cento per 240 milioni di dollari. I creatori del sito non devono fare quasi niente. Se ne restano seduti mentre milioni di Facebook-dipendenti” caricano spontaneamente dati anagrafici, fotografie e liste dei loro prodotti preferiti. Dopo aver costruito questo immenso database di esseri umani, Facebook non deve far altro che rivendere le informazioni agli inserzionisti o, come ha spiegato Zuckerberg sul suo blog, “aiutare le persone a condividere con gli amici le informazioni sulle loro attività online”. Ed è proprio quello che sta succedendo. Il 6 novembre del 2007 Facebook ha annunciato che sono già interessate al progetto dodici multinazionali, tra cui Coca-Cola, Blockbuster, Verizon, Sony Pictures e Condé Nast. I loro manager, abili venditori di stronzate del marketing, sono entusiasti. “Grazie a Facebook Ads i nostri marchi possono diventare parte del sistema con cui gli utenti comunicano e interagiscono su Facebook”, ha dichiarato Carol Kruse, vicepresidente del marketing interattivo globale della Coca-Cola. “E un sistema innovativo per coltivare rapporti con i milioni di utenti di Facebook, che così possono interagire con Blockbuster in modo utile, efficace e divertente”, ha detto Jim Keyes, presidente e amministratore delegato di Blockbuster. “Non si tratta solo di convogliarli sulla nostra pubblicità. Blockbuster vuole partecipare alla comunità dei consumatori e sfruttare un meccanismo che li spinga a condividere i vantaggi del nostro marchio con gli amici”. Nel gergo di Facebook “condividere” vuoi dire “fare pubblicità”. Chi si iscrive al sito diventa automaticamente uno spot ambulante, che parla bene di questo o quel marchio con i suoi amici. Stiamo assistendo alla mercificazione dei rapporti umani, al tentativo di fare profitti con l’amicizia. Con Facebook i giornali sembrano tragicamente sorpassati. Un quotidiano vende spazi pubblicitari alle imprese, che a loro volta cercano di vendere i loro prodotti ai lettori. Questo sistema è molto meno sofisticato di Facebook per due motivi. Innanzitutto i giornali devono pagare i giornalisti che forniscono i contenuti, mentre Facebook i suoi contenuti li ottiene gratis. L’altro motivo è che Facebook può fare pubblicità in modo molto più mirato. Se un utente dichiara sul sito che il suo film preferito è This is Spinal Tap, state sicuri che se esce un film dello stesso tipo gli arriva subito la pubblicità. Ultimamente, comunque, Facebook ha avuto qualche difficoltà con Beacon, il sistema di gestione della pubblicità. Beacon ti invia un avviso quando uno dei tuoi amici fa un acquisto in certi negozi online. Circa 46mila utenti, però, lo considerano troppo invadente e hanno firmato una petizione intitolata “Facebook! Non violare la mia privacy !”. Zuckerberg si è scusato sul blog dell’azienda, dichiarando che ora il sistema è passato dalla modalità opt-out (si inviano messaggi a meno che il destinatario non chieda di smettere) a quella opt-in (si inviano messaggi solo a chi da il suo consenso esplicito). Ma ho il sospetto che questa piccola ribellione contro la mercificazione sarà dimenticata in fretta.

Lo stato dei puritani

E poi, cari utenti di Facebook, avete letto la dichiarazione del sito sulla riservatezza dei dati? In sostanza vi dice che la privacy non esiste. Facebook si dichiara a favore della libertà, ma in realtà somiglia a un regime totalitario, virtuale e ideologicamente orientale, con una popolazione che presto supererà quella britannica. E possibile che qualcuno trovi questo esperimento sociale intrigante. Ecco, finalmente, lo stato sognato dai puritani fin dal seicento, quando sbarcarono in Nordamerica: un mondo in cui ognuno è libero di esprimersi come crede, in cui tutti se ne vanno a spasso in uno spazio virtuale senza confini, in cui la natura è stata sottomessa dall’ingegno umano. E magari in questo mondo tutti i soldi saranno affidati a Thiel, aspettando con impazienza la quotazione in borsa dell’inarrestabile Facebook. Ma forse qualcuno non vuole far parte di questo progetto, che prende enormi finanziamenti per creare una repubblica virtuale globale dove l’identità personale e i rapporti di amicizia sono convertiti in merci da rivendere alle multinazionali. Qualcuno, magari, deciderà che non vuoi fare parte di questa scalata ostile al mondo. Io resterò scollegato dal web il più possibile, e il tempo che non spreco su Facebook lo impiegherò facendo qualcosa di utile, come leggere un libro. E per entrare in contatto con le persone mi affiderò a un vecchio ritrovato tecnologico. È gratuito, è facile da usare e assicura un’esperienza unica nella condivisione delle informazioni: si chiama parlare.

La privacy su Facebook

1. FAREMO PUBBLICITA’

“Su Facebook potete impostare il vostro profilo, avviare rapporti, mandare messaggi, organizzare eventi, caricare applicazioni e trasmettere informazioni attraverso molti canali. Noi raccogliamo questi dati per offrirvi dei servizi personalizzati”.

2. NON POTETE CANCELLARE NIENTE.

“Quando aggiornate i vostri dati, facciamo una copia della precedente versione e la conserviamo per un periodo di tempo ragionevole. Così potrete recuperare le vecchie informazioni”.

3. CHIUNQUE PUÒ SBIRCIARE LE VOSTRE CONFESSIONI PIÙ INTIME. ”

Non possiamo garantire che i contenuti inseriti sul sito non saranno visti da persone non autorizzate. Non siamo responsabili dell’eventuale violazione degli accordi sulla privacy o delle misure dì sicurezza del sito. Anche dopo la rimozione, copie di questi contenuti potrebbero essere visibili in pagine archiviate o in copie salvate da altri utenti”.

4. LA NOSTRA PUBBLICITÀ SARÀ IRRESISTIBILE.

“Facebook potrebbe raccogliere i vostri dati da altre fonti come giornali, blog, chat o da altri utenti per fornirvi ulteriori informazioni utili e un’esperienza più personalizzata”.

5. OPT-OUT NON SiGNIFICA DAVVERO OPT-OUT.

“Facebook si riserva il diritto di inviarvi comunicazioni anche se avete scelto di non ricevere alcuna comunicazione via email”.

6. LA CIA SI FARÀ GLI AFFARI VOSTRI OGNI VOLTA CHE VORRÀ.

“Usando Facebook acconsentite a far elaborare negli Stati Uniti i vostri dati personali. Potremmo essere costretti a rivelare informazioni in seguito a richieste legali o in base alle leggi in vigore. Non riveleremo alcuna informazione se non nella convinzione, in piena buona fede, che la richiesta dell’autorità giudiziaria o delle parti in causa rispetti i parametri giuridici in vigore. Inoltre diffonderemo informazioni sugli utenti o di qualsiasi altro genere se lo ritenessimo necessario per prevenire imminenti danni fisici o ai fini del rispetto della legge, della difesa dei nostri interessi o delle nostre proprietà, della prevenzione di attività illegali compiute su Facebook o usando il suo nome. Questo può comportare la trasmissione delle informazioni ad altre aziende, studi legali o agenzie governative”