Le istituzioni hanno un debito di cura con tuttз noi. Per questo esigiamo le case delle donne [Sara Grimaldi]
Ho nitido nei mie ricordi di bambina e poi di adolescente, l’immagine delle donne di famiglia che si occupano di altre donne, di quelle che si sono ritrovate in relazioni violente, di quelle che sono state picchiate o di quelle schiacciate attraverso la violenza psicologica…con cura e amore ma senza dare nell’occhio, possibilmente senza che si sapesse, come se ci fosse una vergogna, una colpa in quello che accadeva… senza fare RUMORE.
Non è più quel tempo! Oggi le nostre voci si alzano forti nella scena pubblica chiedendo una trasformazione radicale. Oggi non vogliamo solo correre ai ripari ma costruire una cultura che favorisca la libera espressione e l’autodeterminazione di ogni persona.
L’obiettivo principale che oggi vogliamo porre a tutt3 noi è quello di contrastare la violenza di genere e dei generi perchè ci riguarda tutt3; vogliamo trasformare la realtà sociale a partire da noi, collocandoci nelle lotte intersezionali e decostruendo la cultura patriarcale interiorizzatada tutt3.
Dobbiamo dare visibilità a tutto quel lavoro trasformativo che già c’è in giro per l’Italia dentro e fuori dai circoli, alle case delle donne, agli sportelli sociali, ai progetti di accoglienza per soggettivita lgbtqi+, alla formazione delle soc3, ai progetti culturali ed educativi che ogni giorno decostruiscono la cultura della violenza patriarcale e riuniscono comunità basate su ascolto rispetto e cura.
Nelle foto, realizzate dal circolo CFFC Roma, alcuni momenti dell’immenso corteo del 25 novembre indetto da Non Una di Meno
A Roma dal 17 ottobre il movimento transfemminista è impegnato a combattere contro la violenza istituzionale della Regione Lazio che ha votato una delibera che dispone lo svuotamento della casa delle donne Lucha y Siesta,il ricollocamento dei nuclei accolti, la ristrutturazione e la messa a bando degli spazi di quello che oramai da 15 anni è un BENE COMUNE di questa città e che ha dovuto svolgere un compito che dovrebbero avere enti pubblici, ha dovuto sopperire alla mancanza di posti letto per persone che devono fuggire da situazioni di violenza (con buona pace della ratifica della convenzione di Instanbul).
NON SI PUO’ RIDURRE LA COMPLESSITA’ DI UNO SPAZIO DI QUESTO TIPO A MERO SERVIZIO DA METTERE A BANDO.
Così come è stato per la casa internazionale delle donne dobbiamo schierarci in maniera determinata perché sappiamo che la violenza di genere non è neutra e non si affronta in maniera neutra; è un fenomeno politico, sistemico, pervasivo. Per contrastarla occorrono pratiche femministe, transfemministe e laiche.
Lucha y siesta era un luogo abbandonato da ATAC e restituito alla collettività nel 2008, nel 2019 si è avviato il processo di progettazione partecipata come bene comune femminista e transfemminista, un luogo per le donne e tutte le soggettività oppresse dal patriarcato, un centro antiviolenza e una casa rifugio.
E l’Atac, ex proprietario dell’immobile – si è costituita parte civile nel processo per l’occupazione dell’immobile, con prossima udienza il 27 novembre. Dopo aver lasciato abbandonato l’immobile per anni, la partecipata del Comune di Roma chiede un risarcimento di 1,3 milioni di euro per il danno che sarebbe stato arrecato alla collettività da chi, invece, ha dato risposte concrete quando le istituzioni mancavano.
Le istituzioni hanno un debito di cura incalcolabile verso le donne e le soggettività lgbtqi+, l’esistenza delle case delle donne sono solo una parte del credito di cui esigiamo la restituzione.
Sappiamo bene che le politiche sicuritarie di questo governo e anche di quelli precedenti, aggiungono violenza alla violenza, producono solo ulteriore sopraffazione. La nostra urgenza oggi è che spazi come quelli di Lucha y Siesta si moltiplichino perchè non sono solo luogo sicuro ma anche fucina di cultura del consenso, di educazione all’affettività, decostruzione di stereotipi, pregiudizi e mascolinità tossica.
Possiamo e dobbiamo essere al fianco delle sorell3 di Lucha.
Per distruggere la cultura patriarcale abbiamo bisogno di sorellanza, di costruire un NOI INTERSEZIONALE….cerchiamo di costruire questo noi, nel dialogo e nel conflitto costruttivo, anche dentro la nostra associazione.