La campagna di Arci Roma sul ruolo dei circoli contro la mascolinità tossica, per spazi liberati e gender fluid
“Cosa stavi facendo in quel quartiere? In quel bar? Perché eri da sola alla fermata dell’autobus? Perché giri da sola di notte? Perché hai preso la scorciatoia?”. Ogni donna sa che dovrà rispondere a domande del genere e, al pari di qualsiasi altra minaccia reale, sono queste domande a modellare le nostre mappe mentali.
Questi miti sessisti servono a ricordarci che dobbiamo limitare la nostra libertà di camminare, lavorare, divertirci e occupare lo spazio nella città. Dicono: “la città non è adatta a te”.
(Leslie Kern, La città femminista. La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini).
Parte l’8 la campagna di Arci Roma: Un altro genere di socialità. Si tratta di quattro grafiche pensate da Carlotta Cacciante, per visualizzare gli elementi della lunga riflessione nei circoli e nel comitato su linguaggio inclusivo, spazi liberati e gender fluid, ripartizione dei compiti e della rappresentanza, sessismo e violenza di genere.
La libertà piena di vivere lo spazio pubblico è limitata dalla paura di aggressioni e così si vuole continuare a relegare le donne nello spazio privato; l’attraversare liberamente lo spazio pubblico significa mettere in discussione l’ordine patriarcale su cui è costituita la società e con essa la città. Le donne migranti, razzializzate, e tutte le soggettività libere che non sono aderenti all’immaginario femminile imposto subiscono un doppio isolamento/allontanamento dallo spazio pubblico.
Pervade la nostra quotidianità la cultura dello stupro, ossia “il complesso di credenze che incoraggia l’aggressività sessuale maschile e la violenza contro le donne e presenta come norma il terrorismo fisico ed emozionale contro le donne”*.
Per cambiare l’ordine delle cose è necessario un cambio di prospettiva: non abbiamo bisogno di dispositivi di sicurezza (polizia, telecamere ecc…) che servono solo a confermare che è stato messo in conto che come donna, in un modo o nell’altro dovrai subire un aggressione.
Non abbiamo bisogno di spazi sicuri (perchè non possiamo accettare che ce ne siano di non sicuri), rivendichiamo piuttosto la riappropriazione degli spazi urbani, il bisogno di costruire relazioni sociali a partire dalle parole consenso e autodeterminazione, la necessità di investimenti nella formazione e nell’educazione sessuo-affettiva.
Temi che hanno attraversato anche il nostro dibattito congressuale.
Allora ci era parso indispensabile caratterizzare i circoli e tutti gli spazi di Arci Roma come luoghi dove alcuni valori sono fondanti della nostra vita associativa attraverso “la promozione dei diritti e lo sviluppo di forme di prevenzione e di lotta contro ogni forma di disagio, esclusione, emarginazione, discriminazione, razzismo, xenofobia, omotransfobia, sessismo, intolleranza, violenza e censura” (cit statuto Arci).
Il primo passo lo facciamo grazie all’elaborazione di una grafica (segnaletica, cartellonistica, fumettistica indicativa) che possa ricordare a tuttз che certi comportamenti non sono accettabili e non saranno accettati dentro questi luoghi ed anche che ci sono sguardi attenti e persone solidali a cui rivolgersi nel caso in cui ci si senta in difficoltà/pericolo. Perché nessunə si senta solə.
Le grafiche, che verranno consegnate ai circoli stampate e incorniciate, servono a strutturare il nostro lavoro di formazione dedicata alle persone che in tutte le forme attraversano i nostri spazi: socə, dirigenti e volontarə.
Consapevoli di vivere in una società patriarcale in cui gli uomini bianchi detengono in via primaria i privilegi sociali economici e politici, ci impegnano a fare la nostra parte per scardinare tali privilegi costruire una società più equa.
* (Emilie Buchwald, Pamela Fletcher, Martha Roth; Transforming a Rape Culture, Minneapolis (1993), MN: Milkweed Editions.)